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Afghanistan dimenticato

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“A Kabul una gatta ha più libertà di una donna”. Il discorso dell’attrice americana Meryl Streep ai margini dell’Assemblea generale dell’ONU, la scorsa settimana, è diventato virale. Mentre l’attenzione mediatica è concentrata sul Medio Oriente, sull’Ucraina, in Afghanistan i Talebani avanzano passo dopo passo verso il loro progetto di teocrazia assoluta. Eppure, di Afghanistan, ormai, non si parla quasi più.

Sono passati poco più di tre anni - era il 15 agosto del 2021 – da quando i Talebani sono entrati a Kabul, tornando al potere dopo un ventennio di presenza occidentale. Quel 15 agosto, poche ore dopo la presa della capitale, veniva sancita la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e ripristinata la Shari’a, la legge islamica, nella sua interpretazione più rigida e fondamentalista. Da allora, malgrado le promesse iniziali dei Talebani di rispettare i diritti umani, quelli delle donne, in particolare, di diritti sono stati cancellati. Ancora ad agosto sono state emanate nuove norme, che vietano alle donne persino di cantare in casa propria. Ma dopo aver azzerato i diritti delle donne, nell’ultimo mese i talebani hanno iniziato a imporre regole strettissime anche agli uomini. Le nuove leggi li obbligano a portare la barba lunga almeno un pugno, vietano loro di portare i jeans e i capelli corti.

La popolazione schiacciata dalle rigide regole dei Talebani soffre pure per una gravissima crisi alimentare ed umanitaria, legata anche alle sanzioni occidentali contro il governo di Kabul, che finora non è stato riconosciuto da nessun Paese. E proprio per aiutare in modo più efficace la popolazione afghana, la Svizzera ha deciso di riaprire un ufficio umanitario a Kabul. Riapertura che dovrebbe diventare realtà entro fine di quest’anno. Quali implicazioni può avere questa riapertura? Cosa significa per le ONG operare – oggi – nel Paese? Come dovrebbe agire la Comunità internazionale, visto che le pressioni su Kabul, per il rispetto dei diritti umani, non sembrano sortire alcun effetto?

Ne parliamo a Modem con:

Stefano Smirnov, Deputy country director Afghanistan per Emergency, da Kabul

Giuliano Battiston giornalista e ricercatore che da anni si occupa di Afghanistan, da Kabul

Jamileh Amini, portavoce Comunità afghana in Ticino

Avremmo voluto avere ospite un rappresentante del DFAE ma ci è stato negato, riprenderemo allora le dichiarazioni rilasciate alla SRF qualche settimana fa da Silvio Flückiger, della Direzione per la cooperazione e lo sviluppo.

Modem su Rete Uno alle 8.30, in replica su Rete Due alle 18.30. Ci trovate anche sul Podcast e sulle app: RSI e RSIPlay.

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“A Kabul una gatta ha più libertà di una donna”. Il discorso dell’attrice americana Meryl Streep ai margini dell’Assemblea generale dell’ONU, la scorsa settimana, è diventato virale. Mentre l’attenzione mediatica è concentrata sul Medio Oriente, sull’Ucraina, in Afghanistan i Talebani avanzano passo dopo passo verso il loro progetto di teocrazia assoluta. Eppure, di Afghanistan, ormai, non si parla quasi più.

Sono passati poco più di tre anni - era il 15 agosto del 2021 – da quando i Talebani sono entrati a Kabul, tornando al potere dopo un ventennio di presenza occidentale. Quel 15 agosto, poche ore dopo la presa della capitale, veniva sancita la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e ripristinata la Shari’a, la legge islamica, nella sua interpretazione più rigida e fondamentalista. Da allora, malgrado le promesse iniziali dei Talebani di rispettare i diritti umani, quelli delle donne, in particolare, di diritti sono stati cancellati. Ancora ad agosto sono state emanate nuove norme, che vietano alle donne persino di cantare in casa propria. Ma dopo aver azzerato i diritti delle donne, nell’ultimo mese i talebani hanno iniziato a imporre regole strettissime anche agli uomini. Le nuove leggi li obbligano a portare la barba lunga almeno un pugno, vietano loro di portare i jeans e i capelli corti.

La popolazione schiacciata dalle rigide regole dei Talebani soffre pure per una gravissima crisi alimentare ed umanitaria, legata anche alle sanzioni occidentali contro il governo di Kabul, che finora non è stato riconosciuto da nessun Paese. E proprio per aiutare in modo più efficace la popolazione afghana, la Svizzera ha deciso di riaprire un ufficio umanitario a Kabul. Riapertura che dovrebbe diventare realtà entro fine di quest’anno. Quali implicazioni può avere questa riapertura? Cosa significa per le ONG operare – oggi – nel Paese? Come dovrebbe agire la Comunità internazionale, visto che le pressioni su Kabul, per il rispetto dei diritti umani, non sembrano sortire alcun effetto?

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Stefano Smirnov, Deputy country director Afghanistan per Emergency, da Kabul

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Avremmo voluto avere ospite un rappresentante del DFAE ma ci è stato negato, riprenderemo allora le dichiarazioni rilasciate alla SRF qualche settimana fa da Silvio Flückiger, della Direzione per la cooperazione e lo sviluppo.

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