Dieci nuovi business del vino I – con Francesco Inguscio di Nuvolab
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Vivino, Delectable, Coravin. Nuovi nomi ci stanno diventando familiari. Sono nuovi business del vino. Si tratta di applicazioni di diverso tipo, imprese innovative e magari tecnologiche che nel giro di qualche anno si stanno ritagliando uno spazio sempre più importante nel settore.
Oggi parliamo con Francesco Inguscio di Nuvolab, acceleratore di startup innovative. Qual è il panorama delle startup innovative del vino? Come nascono? Come fanno business nel settore?
Nel 2103 si contavano già 500 startup innovative nel mondo del vino. Hanno raccolto 800 milioni di dollari, le prime dieci se ne sono aggiudicate da sole 500. Si sono imposte cambiando il modo di fare business del vino.
Citazioni e link dalla puntata (prima parte):
Puoi ascoltare la prima parte dell’intervista audio cliccando in alto in questo articolo (la seconda parte nel prossimo podcast). Qui sotto c’è la completa trascrizione.
Innovazioni, startup, applicazioni digitali: quando parliamo di queste cose, il pensiero corre spesso all’estero. Ci viene in mente Google, Facebook, Twitter e tutte quelle cose grandi e piccole che ci hanno cambiato e continuano a cambiarci la vita. Ci viene in mente magari la Silicon Valley, dove tutto è nato e continua a rigenerarsi in campo digitale, soprattutto con una velocità impressionante. Oggi parliamo di innovazione e di vino in particolare, di innovazione nel vino, e sono molto lieto, davvero contento, di poter ospitare Francesco Inguscio. Benvenuto, Francesco, a Wine Internet Marketing Podcast.
Francesco: Grazie mille, Stefano. Benvenuti agli ascoltatori.
Stefano: Bene, Francesco. Dunque, tu sei fondatore e amministratore di Nuvolab, un acceleratore di startup innovative, una società di consulenza che fa innovazione con numerosi progetti davvero a sostegno di tutto l’ecosistema dell’innovazione italiana, con soggetti grandi e piccoli, fondi di venture capital, istituzioni, PMI, piccole medie imprese e grandi corporation. Sei laureato in Economia, se non sbaglio, e poi hai una carriera tutta nell’innovazione: io ricordavo la Silicon Valley anche perché tu hai un’esperienza negli ultimi anni molto legata direi a quei luoghi e quindi cito alcune cose, poi magari altre dimmele tu se le dimentico, ma dal 2010 in poi hai lavorato ad alcuni incubatori e in alcune aziende importanti come M31, poi sei stato anche analista per IBM, per Accenture, insomma quindi, la Silicon Valley è stata uno dei tuoi terreni di sviluppo più significativo degli ultimi anni. A 33 anni, leggo, sei fondatore di dieci startup e conti di arrivare a quaranta entro i tuoi 40 anni.
Francesco: Esatto, cifra tonda.
Stefano: È una vera bulimia di nuovo, direi, di fare impresa, di far partire progetti, insomma, raccontaci di questo, da dove ti arriva questa cosa?
Francesco: Guarda, l’obiettivo diciamo che trascende il fatturato perché solitamente, quando uno fa un’azienda, dice “Vorrei fatturare, vorrei avere degli utili di un certo tipo”. Visto che gli incubatori, gli acceleratori d’impresa sono aziende un po’ particolari, perché sono aziende che fabbricano aziende, e quindi, esattamente come le aziende normali che fabbricano e vendono servizi e prodotti, gli incubatori fabbricano e idealmente in un futuro vendono, fanno le cosiddette “exit”, altre aziende con queste startup, quindi l’obiettivo, la metrica di produttività e di successo di un incubatore si misura più dalle aziende che genera, che dal fatturato o altre metriche più tipiche delle aziende tradizionali. È un po’ come direbbe San Paolo, “è dai frutti che riconoscerai l’albero”, e quindi un albero carico di frutti sicuramente è un buon albero e quindi l’incubatore che genera molte aziende sicuramente è un incubatore sano. Da qui l’obiettivo, se vogliamo numerico un po’ tondo, almeno uno se lo ricorda, fa molto più effetto rispetto a dire “Fatturerò x milioni”, “No, faccio 40 startup entro i 40 anni”, vuol dire occupazione…
Stefano: Fate la mamma, insomma, di tante cose: generate. Fa anche questo Nuvolab? Fate questo?
Francesco: Esatto. Noi cerchiamo di dare un’alternativa a ragazzi svegli, in gamba, sul territorio italiano rispetto all’immigrazione, mettiamola così. Quindi l’idea è quella di fare brain-game, piuttosto che brain-drain.
Stefano: Il tema è caldo, avrai seguito la polemica che si è scatenata tra la ricercatrice all’estero…
Francesco: Assolutamente.
Stefano: Eh sì, bella storia.
Francesco: Mettiamo in rete i cervelli, perché comunque abbiamo sempre… In Italia, in Inghilterra, in India, in questo momento… io stesso ho vissuto per anni in Silicon Valley, per cui diciamo che era un po’ superata dal mio punto di vista la visione nazionalistica del fare innovazione: il mercato è il mondo, si fa innovazione nel mondo, a me interessa farla con gli italiani, non necessariamente in Italia. Su questo vorrei già puntualizzare, per evitare poi di sembrare un ultranazionalista che non guarda le dinamiche del mondo dell’innovazione, che avviene ovunque, un po’ meno in Italia rispetto ad altri contesti.
Stefano: Guarda, questo tema mi appassiona, magari ci torniamo in fondo, perché intanto vorrei provare ad entrare, visto che qua parliamo soprattutto di vino, a parlare di vino ed innovazione. Perché, ho sentito un tuo recente intervento, dire per esempio che ci sono 500 startup nel vino contate nel 2013 e, correggimi se sbaglio, 800 milioni di dollari raccolti, in cui 500 milioni sono stati raccolti di fatto dalle prime dieci. Aiutaci a capire un po’ il panorama di queste startup, lo scenario insomma…
Francesco: Beh, guarda, semplicemente, Stefano: io ho provato così, su provocazione, anche dell’evento a cui ci siamo incontrati, sul mondo del vino, a cercare di perimetrare l’innovazione in questo mondo, un po’ perché l’Italia adesso è diventato primo produttore, almeno dicono Coldiretti, abbiamo superato anche la Francia, e quindi quello che conta è che se uno guarda i fatturati e i volumi, guarda il numero di bottiglie, litri e quant’altro. Io, visto che sono un incubatore, mi interessano le aziende innovative, ho cercato di guardare questo parametro. Ho provato a cercare di guardare vari dati… devo essere sincero, non ce ne sono tantissimi per quanto riguarda le startup quindi le aziende innovative nel mondo del vino: ho trovato una ricerca che parlava che nel 2013 già si contassero più di 500 startup verticali in questo mondo, un mercato che comunque già al suo tempo valeva quasi 300 miliardi di dollari e con una forte crescita, insomma, intorno al 18%, nei cinque anni successivi con un forte spostamento sempre maggiore, ovviamente solo online, e questo un po’ dà anche comunque fiato a business model innovativi e aziende che in qualche modo rivoluzionano la modalità distributiva anche del vino, e quindi abbiamo fatto un po’ un’idea di questo, guardando che cosa? Guardando che da un lato, come sempre, ci sono tante aree di cosiddette disruption, quindi di cambiamento e di innovazione anche in questo mondo, che va dal business-to-business equipment, quindi un’area di tutte quelle che possono essere poi le strumentazioni innovative nel mondo del vino, la parte business-to-business ACE, quindi di fatto la vendita e la distribuzione all’ingrosso, il B2C, quindi la parte Business to Consumer e quindi la parte di e-commerce, l’avanzata del mondo delle app, e quindi tutta la parte di app del mondo del vino, prodotti che sono, se vogliamo, anche complementi nell’utilizzo del vino, che possono essere l’apribottiglie innovativo o quant’altro, e poi tutto quello che è legato al turismo legato al mondo del vino. Tutte queste aree hanno complessivamente dato vita a più di 500 startup innovative che hanno cambiato il modo di fare business in queste declinazioni della cosiddetta “value chain”, quindi della catena del valore dell’industria del vino. Oltre a più di 4000 paper universitarie: non si contano le modalità e le proposte accademiche per innovare la value chain. Quindi è stato un esperimento interessante. Interessante è stato scoprire che ci fossero già allora più di 500 startup in questo mondo, il 48% circa è mappato nel mondo americano, il 42% nel mondo dell’Europa, diciamo continentale. Il resto, che è poca cosa, perché tra Nord America e Europa conta il 90% della mappatura, è del 10%, distribuito sugli altri continenti. Questo, giusto utilizzando i database che sono un pochino tecnici nel nostro mondo. E quindi, innovazione… ce n’è tanta, si concentra in America e in Europa, poi – io sono andato in Silicon Valley, ma vicino la Silicon Valley c’è la Napa Valley, quindi vicino all’alta tecnologia c’è la valle del vino, quindi siamo lì. Una cosa interessante è stata vedere come si polarizzi la parte di investimenti perché, come sempre accade, ci sono poche startup che fanno un po’ il ruolo del leone, se vogliamo, all’interno della distribuzione dei fondi, perché ci sono stati circa… guardando un po’ le statistiche, circa 800 milioni di dollari raccolti da queste 500 startup mappate nel mondo del vino. Nella top ten, quindi le prime dieci, hanno raccolto più di 500 milioni.
Stefano: Questo è un meccanismo abbastanza generale forse, che appartiene anche ad altri settori o…?
Francesco: Sì. Diciamo che si segue la cosiddetta “power law”, che è una funzione di potenza per cui pochissimi, i cosiddetti XXXX che attraggono moltissimo capitale, perché sono quelle che poi si quoteranno, in qualche modo saranno le più valenti della Google del mondo del vino, poi tutte le altre, a coda lunga, si accontentano delle briciole o delle gocce.
Stefano: Quando dici “hanno raccolto questi 800 milioni, 500 milioni dalle prime dieci, che cosa vuol dire? Ci spieghi da dove arrivano questi soldi?
Francesco: Com’è che funziona solitamente una piccola startup? Una piccola digressione… solitamente una startup vive quattro fasi al di là dell’idea che l’ha generata. Vive quattro fasi dello sviluppo che sono comuni a tutte le startup, che facciano vino o che facciano genetica, che secondo Steve Blank, che è un professore di Stanford, ha scritto numerosi libri in merito, sono le quattro fasi classiche di discovery, validation, efficiency e scale. Ora, discovery vuol dire che hai un’idea e stai cercando in qualche modo una risposta dal mondo, se questa idea può aver senso. Quando ti arriva questa risposta dal mercato, e quindi c’è qualcuno disposto a pagare, c’hai la validation, quindi qualcuno ti valida l’idea ed è disposto a pagare perché gli risolvi un problema. A questo punto la tua idea ha un mercato e devi essere il più efficiente possibile nella modalità di vendita, di monetizzazione per riuscire a fare soldi, e quindi c’è la fase di pit-stop e di messa a punto del modello di business della tecnologia, la cosiddetta fase di efficiency. Una volta sistemato tutto, hai il modo di scalare, come si suol dire, quindi crescere in modo esponenziale, ci si augura, quindi c’è la fase di scale. Per quest’ultima fase che, attenzione, non arriva per tutti – molte aziende si perdono per strada – ma, nella migliore delle ipotesi, quando arrivano ad avere un modello di business che funziona, con la tecnologia proprietaria idealmente difendibile, un buon team, un mercato interessante, arrivano questi signori, questi investitori, questi venture capitalist, investitori in capitali di rischio, che una volta che hai preparato per bene la tua azienda a fare il salto e diventare una grande corporation, ti aiutano a passare da un’idea ad alto potenziale ad un’azienda di valore. E quindi più si va avanti in questa ideale catena alimentare, in questo percorso evolutivo darwiniano… ovviamente però servono soldi, perché finchè devi sistemare la tua tecnologia, magari servono centinaia di migliaia di euro poi, per far crescere l’azienda e farla diventare una multinazionale ovviamente servono sempre più decine di milioni di euro, e quindi si polarizzano gli investimenti. Idealmente la prima fase, la cosiddetta fase seed, per fare i compiti per casa, spesso e volentieri servono centinaia di milioni di euro, quando hai trovato il modo giusto, devi conquistare il mondo, ovviamente devi capitalizzarti in modo rilevante, e da qui, il fenomeno di polarizzazione di molti soldi in poche aziende: idealmente non sono più le cosiddette startup, ma vengono chiamate in termine tecnico Scale-up, quindi sono già pronte a diventare, insomma, qualcosa di più di una semplice startup.
Stefano: Senti, parliamo di alcune di queste startup che hanno di fatto, non so se sono quelle che hanno ricevuto più soldi, ma di certo sono quelle che hanno avuto un impatto maggiore in uno dei livelli che ci raccontavi tu, dei diversi livelli in cui si può agire rispetto al processo di vendita, del B2C, del B2B, o insomma, in tutte queste aree che sono state rivoluzionate dalla rete del digitale. Anche qui, vuoi aiutarci ad individuarne alcune, per esempio? Che cosa fanno e qual è il loro…
Francesco: Allora, citandoti la top ten, visto che vogliamo restare su…
Stefano: Restiamo sulla top ten, dai.
Francesco: Sul podio, idealmente…
Stefano: Top ten di questi nuovi business del vino e cosa fanno, dai, alcune magari sono conosciute, ma altre meno, perché magari hanno un successo internazionale ma in Italia sono meno praticate.
Francesco: Sì. Diciamo che in Italia abbiamo i campioni locali, e spesso e volentieri l’Italia viene ignorata nel piano di crescita delle grandi aziende, delle grandi multinazionali di queste startup, specie quelle che partono dall’America perché sai, il nostro mercato ha una lingua specifica e ha un bacino di utenza abbastanza limitato rispetto ad altri mercati internazionali che parlano in lingue un po’ più diffuse come può essere lo spagnolo o il francese, oltre che l’inglese ovviamente, però alcune magari possono comunque stimolare la curiosità delle persone per andarsele a guardare, oppure possono stimolare dei campioni locali che, proprio perché queste aziende non sono ancora arrivate, creano un modello analogo e lo lanciano in Italia. Io però cerco di stare sui nomi originali, sulle aziende originali che hanno avuto successo. Ad esempio abbiamo Vinfolio, che era partita nel 2003, quindi già parecchi anni fa, tredici anni fa: di fatto sono un marketplace per vini di alta gamma e un software gestionale di cantine, di fatto è un eBay per i collezionisti di vino, assolutamente rilevante come tipo di mercato. Vino Volo, che anche questa nasce a San Francisco poco dopo, nel 2004, ed è diventata la Starbucks del vino: di fatto hanno una serie di lounge di degustazione di vino prevalentemente in aeroporti americani, e quindi è diventata una catena di tutto rispetto, fanno vino. A Parigi, invece, anche prima era nata VIN855 che di fatto è un rivenditore sempre online, di vini cosiddetti “en primeur”, quindi vini che devono ancora in qualche modo uscire sul mercato, di consentire di acquistarli a prezzi scontati. Inoltre abbiamo Club Babylon che è nata nel 2011 a Los Angeles, che sempre fa vendita online B2C personalizzata: in questo caso, il suo abbonamento mensile è per un modello che si è estremamente diffuso in modo estremamente rilevante anche in Italia. Questo solo per restare nel mondo degli e-commerce B2C, se vogliamo sempre restare nel mondo degli e-commerce B2C, così diamo un’ultima carrellata a questo tipo di modalità di go-to-market: abbiamo Lot18, che è partito a New York City nel 2011, ed è un po’ come vente-privée del vino, quindi è un’azienda B2C, club di vino di alta gamma, con delle opportunità per i membri di questo club. Abbiamo, diciamo, il caso più eclatante che è, insomma, Wine.com, nato nel 1998 a San Francisco: di fatto è l’Amazon del vino, puoi comprare online qualunque tipo di selezioni di vini, ed è alquanto rilevante. Se vogliamo stare in Europa, sempre modello B2C, abbiamo Naked Wines, di fatto nato nel 2008 ed è un po’ una Kickstarter per i viticoltori: di fatto consente ai clienti di sponsorizzare i piccoli produttori, che magari stanno facendo una vinificazione particolare e hanno qualche difficoltà a sbloccare il magazzino e a trovare il circolante per far funzionare l’azienda… di fatto adotti dei viticoltori, li sponsorizzi prima che ancora comincino a fare il loro vino, e di fatto poi puoi accedere, a prezzi scontatissimi, ai vini che produrranno grazie al tuo supporto in tempi non sospetti. Questo, anche dal punto di vista sociale, è interessante molto per il viticoltore, se vogliamo: un’adozione a distanza, NakedWines. Poi, se vogliamo uscire dal mondo dell’e-commerce/piattaforme B2C, si può andare ad esempio su prodotti B2C, più che modalità di vendite B2C: ad esempio abbiamo Coravin, nel 2011 è nata a Paddington, USA, di fatto è quasi come se fosse un ago, diciamo stagno, che consente di degustare il vino senza rimuovere il tappo. Non è magia, è una tecnologia…
Stefano: Sta avendo grande successo presente, in ogni fiera, sta veramente monopolizzando l’attenzione, perché in effetti è un ambito di applicazione che è diversa da quelle per il marketing del vino, non ha a che fare con internet ma è uno dei nuovi business del vino e se vuoi è anche più intuitiva, si capisce esattamente cosa fa…
Francesco: Sì, si può toccare con mano. C’è sempre stato il problema di vini di altissimo pregio, che è o compri in bottiglia o non puoi bere a bicchiere. Di fatto, riesce a risolvere il problema e a salvare capre e cavoli perché di fatto sì, spilli del vino dalla bottiglia, un po’ come succede con la birra per certi versi, però il tappo resta intatto e quindi si realizza, grazie a questa tecnologia, a questo ago un po’ particolare, dell’ottimo vino, nel tuo bicchiere, senza dover pagare tutta la bottiglia: questo, soprattutto nelle enoteche di vario tipo, ha un suo perché per riuscire a rendere più fruibile il vino anche di alto livello.
Stefano: Poi su questo… guarda, ti interrompo un attimo, innanzitutto c’è anche una startup italiana che si occupa più o meno di questo tipo di bottiglie, che si chiama Wenda, non so se è conosciuta… e loro, anche, si occupano del… riescono a tracciare digitalmente, attraverso un apparecchietto che viene sistemato sulla bottiglia, il tipo di conservazione, com’è stata trattata la bottiglia, insomma, e quindi, registrandola, e perché questo è...
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